Copertina digitale de "La ragazza del convenience store" di Murata Sayaka
Copertina digitale de “La ragazza del convenience store” di Murata Sayaka

Alzi la mano chi ha mai calcato il suolo giapponese senza aver messo piede in un konbini, un convenience store, come descritto dal titolo di questo libro di Murata Sayaka, un alimentari molto variopinto direbbero in Italia. Sì? C’è qualcuno? Beh, è un gran peccato, perché è certamente una di quelle esperienze da non perdere se si ha la fortuna di andare in Giappone. La scrittrice di questo romanzo la descrive come la “musica del konbini“, quell’insieme di voci, segnali sonori e sound design che ti trascinano in un mondo fatato ricco di snack dalle forme più disparate, gustosi onigiri e colorate brioches, passando per qualunque gusto di bevanda frizzante che ti sia mai passato per la testa.

Tuttavia, come conferma Murata Sayaka, è anche il luogo che “si regge sulla normalità, un mondo dove tutto cioè che è anomalo e inconsueto deve essere rimosso“. È un luogo in cui tutto funziona sempre con una metodicità impeccabile e non delude mai in quanto immobile a se stesso: si sa sempre cosa aspettarsi. E benché i prodotti cambino e le stagioni si spostino intorno al sole, è sempre uguale, seppur diverso. 

In questo piccolo mondo che si regge sulla normalità gli elementi estranei devono essere eliminati, uno dopo
l’altro, in silenzio. Le presenze anomale vanno scartate. Ecco perché devo guarire. Altrimenti sarò allontanata
dalla grande tribù delle persone “normali”. Finalmente capisco perché i miei genitori si disperavano e
continuano a disperarsi per me.
Tratto da “La ragazza del convenience store” di Murata Sayaka

È proprio questo ad attirare la protagonista di questo romanzo, che fa del konbini la sua cartina tornasole nei confronti di una normalità che non le appartiene. Misura i comportamenti da tenere, le parole da pronunciare, persino gli abiti da indossare per essere accettata da una società che non la comprende. Non la comprende, non la include e neanche ci tiene troppo a dire il vero, ammantandosi di sorpresa e ingenua inadeguatezza ad ogni passo falso, ad ogni confezione fuori posto della sua esistenza.

«A quel punto ho scoperto il trucco: il mondo non è mai cambiato, è rimasto sempre uguale fin dal periodo Jōmon. Gli individui inutili per la comunità vengono eliminati.


Sei un uomo incapace di cacciare? Via, non servi!
Sei una donna che non può procreare? Sparisci, togliti dai piedi! 


La società moderna finge di mettere al centro del mondo l’individuo, ma in realtà tutti quelli che non si adeguano alle norme sono scartati, neutralizzati e messi al bando, senza alcuna pietà!».

Ed inseguiamo sulle pagine del libro i pensieri di una protagonista che cerca di capire come essere disinvolta, come integrarsi in questo mondo che non parla la sua lingua. Circondata da familiari e amici che non fanno che storcere il naso e dolersi della sua inabilità di stare al mondo, impedendole di essere la persona che potrebbe essere se solo smettessero di ricordarle quanto sia sbagliata. 

“«Sì! Le persone “normali” adorano giudicare le persone “anormali”. È sempre stato così, è uno stupido modo per sentirsi migliori e importanti.”

Cos’è la normalità? E l’anormalità? Quand’è che abbiamo scritto l’elenco di ciò che si può o non si deve dire? 

“Society, you’re a crazy breed
I hope you’re not lonely without me”


Buona lettura

La traduzione è a cura di Gianluca Coci.

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