“Tuttavia, se abbiamo fortuna, a volte ci restano accanto alcune parole. Durante la notte salgono su una collina, si infilano in una piccola buca che hanno scavato dandovi la forma del proprio corpo e se ne stanno rintanate lí, brave a lasciar passare le raffiche di vento. Poi sul far dell’alba, quando torna la quiete, le parole sopravvissute sporgono il viso fuori dal terreno.”

Prima Persona Singolare di Murakami Haruki
[Traduzione di Antonietta Pastore]

Mancava solo l’ultimo racconto da leggere, l’ottavo delle sette tracce di questo disco inusuale. Per tutto il tempo dedicato alla lettura ho avuto l’impressione di non essere in sintonia con le parole di Murakami, che qualcuno mi avesse rubato la chiave per ottenere una comprensione profonda di quello che avevo letto fino a quel momento. Ho continuato, paziente, con il rispetto che si riserva alle persone che se lo sono meritato, non solo perché sono più grandi o è loro dovuto, ma che ti hanno sempre dimostrato di esserci, di conoscere la parola buona e la parola di conforto, sapendo tuttavia darti una strigliata quando necessario, senza generare una separazione.

Prima Persona Singolare di Murakami Haruki

Li ho letti uno dopo l’altro, ho attraversato i ricordi ingialliti di uno scrittore che tira le somme, che guarda al passato con nostalgia, accettando quello che è stato soffermandosi sui suoi punti più oscuri. Non c’è l’intenzione di una morale o di un insegnamento, piuttosto l’accoglienza definitiva dell’ignoto avvolto attorno a frammenti di una vita ormai trascorsa. Ci sono poesie maldestre, inseguimenti di pensieri e sfumature ormai ossidate dal tempo, ci sono scimmie (forse il racconto che ho preferito) e donne a cui è stato rubato il nome, donne rancorose e donne brutte, cantilene e giravolte, note e musica, considerazioni sdentate e piccoli sassolini lucidi di un Pollicino che vuole ritrovare la via di casa dopo essersi ritrovato da solo nel bosco.

“Che l’amore sia il combustibile di cui abbiamo bisogno per andare avanti nella vita. L’amore a un certo punto può finire, certo. Oppure non portare a nessun risultato. Ma anche se si spegne, anche se non è più corrisposto, possiamo sempre conservare il ricordo di aver amato qualcuno, di essere stati amati. E questo diventa una fonte di calore. Senza la quale il cuore di una persona − di una scimmia − diventerebbe gelido e deserto come una landa selvaggia.”

Prima Persona Singolare di Murakami Haruki
Copertina di "Prima persona singolare"
Copertina di “Prima persona singolare”

Dicevo, mi manca solo l’ultimo racconto, quello che definisce l’identità dell’intera raccolta. Sento di aver bisogno di sintonizzarmi, di ritrovare la limpidezza del suono. Allora mi faccio prendere anch’io da un velo di nostalgia, scendo in cucina, e con i gesti più lineari che conosco faccio tostare due fette di pane, recupero gli avanzi di un’insalata di patate dal frigo, il wasabi e mi preparo un sandwich che d’aspetto non ha nulla da invidiare a quelli che Murakami ha descritto non so più quante volte. Prendo il piatto, raggiungo il tavolo della cucina e ne assaggio il primo angolo, cominciando a leggere. Un altro morso, altre pagine scorrono via.

Non capisco. Credevo che avrei raggiunto un’epifania, almeno l’accento di una coda di cometa. Finisco il racconto e chiudo il libro guardandomi attorno. Mi sembra allora di scorgere il volto sereno di Murakami come a dire: “Beh, cosa ti aspettavi? Sono un essere umano anch’io, ricordi?”,

e d’un tratto mi rassereno anch’io.

Prima. Persona. Singolare. 

Un viaggio all’interno della persona, nelle sue ombre, nei ricordi d’infanzia, in quelli più sottili dei primi amori. Nelle situazioni imbarazzanti, nei disagi e nelle frasi appuntite che sanno incastrarsi nello spirito in maniera indelebile, con quel tocco di surreale che solo Murakami riesce a far passare come possibile.

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